Questione di contributi

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La Corte Costituzionale è intervenuta, con la sentenza numero 82 del 2013, su una materia decisamente controversa che ha, nel corso degli ultimi anni, generato non poche difficoltà ed incertezze ai datori di lavoro, tra cui, ovviamente, gli imprenditori agricoli.

In particolare, la sentenza citata, ha dichiarato incostituzionale la norma che obbliga i datori di lavoro a versare non solo l’indennità economica dovuta per i giorni di malattia del lavoratore, ma anche il relativo contributo Inps. La vicenda si è originata con la pubblicazione del decreto legge n°112 del 2008, allora denominato dai mass media “manovra d’estate”, poi convertito nella legge n°133/2008. Tale decreto, all’articolo 20, riportava disposizioni in materia contributiva e, in particolare, forniva un’interpretazione autentica della disposizione che regola la materia, cioè l’articolo 6 della legge n. 148 del 1943. Tale articolo, al secondo comma, prevede che l’indennità di malattia non sia dovuta da parte dell’Inps ove tale trattamento economico sia corrisposto per legge o per contratto collettivo direttamente dal datore di lavoro. Ebbene, l’articolo 20 del decreto legge 112/2008, ha stabilito che il secondo comma dell’articolo 6 della 138/1943,  si interpretava nel senso che i datori di lavoro che avevano corrisposto per legge o per contratto collettivo, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Inps dall’erogazione della predetta indennità, non erano tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo. Restavano acquisite alla gestione e conservavano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1˚gennaio 2009. Ed è proprio questo ultimo principio, il fatto cioè che le contribuzioni già versate dovevano rimanere all’Inps, ad essere stato oggetto della recente sentenza della Corte Costituzionale. La Corte, infatti, si era già espressa con la sentenza n°48 del 2010, dichiarando legittima l’interpretazione della legge n° 148/1943 data dall’articolo 20 del d.l. 112/2008, ma non aveva affrontato il nodo relativo alle contribuzioni già versate nel periodo antecedente il 1° gennaio 2009. Nel frattempo, a generare ancor più confusione, è intervenuta la pubblicazione del decreto legge 98/2011, poi trasformato nella legge 111/2011; tale legge, infatti, ha determinato una sostanziale marcia indietro ed ha ristabilito le condizioni precedenti, affermando, alla lettera a) del comma 16 dell’articolo 18, che i datori di lavoro sono in ogni caso tenuti al versamento della contribuzione per malattia dei dipendenti. Inoltre, alla lettera b) dello stesso comma, si è stabilito che sono comunque non rimborsabili i contributi di malattia versati dai datori di lavoro fino alla data del 1° maggio 2011, spostando in avanti il limite precedentemente stabilito del 1° gennaio 2009. Di fatto, con questo ultimo intervento legislativo, i datori di lavoro si trovavano nell’iniqua situazione di dover versare una doppia imposizione sui dipendenti ammalati: l’indennità economica per i giorni di malattia e il pagamento del relativo contributo. Non solo, in base alla disciplina introdotta nel 2008 e modificata nel 2011, venivano indirettamente “premiati” i datori di lavoro che, pur essendovi tenuti, avevano omesso di versare la contribuzione di finanziamento dell’indennità di malattia all’Inps. Una situazione di evidente illegittimità, affrontata nel giudizio di fronte alla Corte Costituzionale, dove l’Inps e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno cercato, tramite l’Avvocatura dello Stato, di difendersi e far passare il principio secondo cui i datori di lavoro che hanno versato i contributi, hanno tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di ritenersi esonerati da questo adempimento, al contrario di chi il contributo, invece, non lo ha versato. Una linea che è uscita sconfitta dall’aula, dove si è stabilita l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, del decreto legge 112 come modificato dall’articolo 18, comma 16, lettera b), del Dl numero 98 del 2011. Con la sentenza numero 82 del 6 maggio 2013, quindi, la Corte Costituzionale dichiara  l’illegittimità costituzionale di questa disposizione e ribadisce una linea di interpretazione già adottata in sentenze precedenti: sono illegittime, per violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Carta Costituzionale, le norme che prevedano l’irripetibilità di quanto versato nel convincimento di adempiere a una obbligazione che in realtà non esiste.

A cura dell’Avv. Antonella Bonini