In (lieve) discesa in prezzi della terra

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Battuta d’arresto per i prezzi della terra. Nel 2019 si è registrato un -0,4% rispetto al 2018, dopo due anni in cui il valore fondiario medio nazionale aveva mostrato qualche timido segnale di ripresa. È quanto emerge dalla lettura dei dati contenuti nel report elaborato in base all’indagine condotta dalle sedi regionali di CREA – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura. La tendenza negativa si accompagna ad una riduzione dell’attività di compravendita dopo quattro anni di continui aumenti.

In base agli esiti dell’indagine, comunque, la riduzione dei prezzi è addebitale, essenzialmente, a quanto avvenuto in due regioni, ossia Veneto e Friuli-Venezia Giulia, che presentano le variazioni più negative, rispettivamente -2,8% e -4,5%. Anche altre Regioni, come Lombardia, Emilia-Romagna, Molise e Sardegna, mostrano segni negativi ma con valori prossimi allo zero.

I motivi della citata diminuzione sono da ricercarsi, secondo quanto sottolineano gli analisti del Crea, nel progressivo aggiustamento delle quotazioni in Veneto, che detiene il primato dei valori medi regionali, assieme al Trentino Alto Adige, con oltre 50.000 euro/ha, nelle continue difficoltà registrate nel comparto dei seminativi a causa della scarsa redditività e nella percezione di una certa saturazione nel comparto viti-vinicolo che non sembra avere più l’effetto trainante di qualche anno fa sul mercato fondiario.

Chi sale e chi scende

Effettuata tale premessa, nel report si evidenzia che sono le zone di pianura ad ottenere i risultati peggiori (in media -1,2%) mentre le zone collinari e quelle montane presentano qualche modesto aumento. Il trend potrebbe collegarsi agli effetti della progressiva regionalizzazione dei pagamenti diretti che vedono una lenta ma continua riduzione del sostegno alle aziende di pianura contestuale ad un progressivo aumento degli aiuti ad ettaro per le superfici montane e collinari.

Peraltro, il cedimento delle quotazioni si accompagna con una lieve contrazione dell’attività di compravendita, come segnalato dall’ISTAT: dopo quattro anni di crescita la riduzione del numero di transazioni relative a terreni agricoli (-1,4% a livello nazionale) ha comportato una parziale inversione di tendenza.

Parzialmente in controtendenza si presenta, invece, il dato relativo al credito. Secondo i dati della Banca d’Italia, il credito per l’acquisto di immobili in agricoltura è aumentato del 16% nel 2019, riportando i valori complessivi (550 milioni di euro) a livelli comparabili con quelli di inizio decennio, ma ancora ridotti rispetto a quanto si riscontrava nel decennio scorso, quando l’accesso al credito aveva raggiunto valori superiori ai 700 milioni di euro all’anno.

Le prospettive post pandemia Covid – 19

Durante l’indagine, svoltasi nei primi mesi del 2020, è stato chiesto agli operatori di dare qualche prima informazione sugli effetti dell’emergenza COVID sul mercato fondiario. Generalmente sembra che la preoccupazione cresca passando dalle aree più dinamiche a quelle più stagnanti, per via dell’effetto deprimente sulle attività economiche che le misure di confinamento prima e successivamente le difficoltà di reperimento della manodopera e il calo della domanda di alcuni prodotti hanno generato lungo tutta la filiera agroalimentare. In questo senso, le regioni meridionali presentano maggiori segnali di preoccupazione e una tendenziale riduzione delle compravendite, mentre nelle aree del Nord si ritiene che l’attività di compravendita si sia bloccata solo momentaneamente a seguito delle difficoltà logistiche legate al confinamento dei mesi primaverili. Gran parte degli operatori ritiene che bisognerà attendere la fine del 2020, se non l’inizio del 2021, per avere una valutazione più oggettiva sugli effetti della pandemia sulle prospettive di investimento degli imprenditori.

I terreni in affitto

Infine, anche nel 2019 si è mantenuto alto l’interesse per la conduzione dei terreni in affitto rispetto all’alternativa dell’acquisto dei terreni, mentre è stata segnalata una generale tendenza verso la diminuzione della durata dei contratti in attesa del varo della nuova PAC. L’istituto dell’affitto continua a rappresentare il principale strumento a disposizione degli imprenditori per ampliare le proprie superfici aziendali e migliorare le economie di scala, grazie alla maggiore flessibilità che comporta rispetto alla scelta di acquistare.

di Antonio Longo