Biologico tra novità e preoccupazioni

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Disponibile e online da alcuni giorni il primo elenco pubblico di mezzi tecnici ammessi in agricoltura biologica, conformi agli standard condivisi tra Federbio e Fibl. A darne comunicazione sono stati proprio la Federazione del biologico e biodinamico italiano e l’Istituto svizzero di ricerca dell’agricoltura biologica.

Considerando la posizione di leadership e l’unicità del settore biologico italiani in Europa, Federbio ha ritenuto necessario che la nuova piattaforma online Italian input list facesse parte di una serie di Input list nazionali, promosse da Fibl e afferenti all’European input list. L’istituto di ricerca svizzero considera sia i requisiti europei sia le norme nazionali ed eventuali criteri aggiuntivi per l’utilizzo dei mezzi tecnici in agricoltura biologica formulati in base alle peculiarità e alle esigenze nelle diverse aree geografiche.

L’Input list italiana rappresenta un supporto importante per i tecnici e gli agricoltori del settore biologico, consentendo di ridurre le eventuali contaminazioni relative a prodotti che contengono sostanze non autorizzate e non dichiarate in etichetta, come fosfiti e matrina.
I rinvenimenti di tracce di sostanze “indesiderate”, infatti, non rischiano solo di incrinare la fiducia del consumatore, ma determinano anche automaticamente il declassamento di questi prodotti a “non biologici” con grave danno per gli agricoltori onesti. L’elenco dei mezzi tecnici aumenta la trasparenza e promuove un approccio armonizzato e olistico sulla valutazione degli input utilizzabili in agricoltura biologica. La lista operativa proposta è il risultato di un percorso iniziato nel febbraio 2019 con la sottoscrizione di un accordo tra le due parti.

Questa novità importante non nasconde però le preoccupazione del settore per il perdurare dell’emergenza coronavirus. Secondo Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio, l’associazione che raggruppa la quasi totalità della rappresentanza del settore biologico, “I problemi principali in questa emergenza sono legati al moltiplicarsi delle difficoltà di vendita da parte degli agricoltori. Il decreto Cura Italia non ha vietato i mercati rionali, sbocco principale dei produttori bio, ma molti sindaci sono intervenuti vietando i mercati all’aperto. E così molte aziende, soprattutto quelle che producono il prodotto fresco che hanno come canale principale il mercato, stanno rischiando di buttare via tutto il raccolto”.
“Le aziende bio -prosegue- che lavorano con la ristorazione pubblica, come mense aziendali e scolastiche, sono ferme; è tutto chiuso e non hanno sbocco nemmeno nei mercati che assorbono il prodotto. Per non parlare dei produttori in zone collinari di qualità, quelli che rifornivano i ristoranti con prodotti come formaggi e salumi: anche qui, la ristorazione è chiusa e tutto si è fermato”. Altri aspetti riguardano chi lavora per l’agriturismo, per le fattorie didattiche. “Semplicemente non lavorano, come chi ha a che fare col vino”. Una parziale consolazione arriva dalla grande domanda di prodotto agroalimentare anche biologico, che viene smaltita dalla Gdo, il cui trend delle vendite, da gennaio al 22 marzo 2020, è aumentato del 10,9% rispetto allo stesso periodo del 2019: nel periodo pre-covid, ossia dal primo gennaio 2020 al 16 febbraio faceva +4,1%, performando comunque meglio rispetto a quanto registrato nella coda 2019; nel periodo post-covid, ossia dal 17 febbraio al 22 marzo 2020 è schizzato a +20,1%.
“Ma il mercato della Gdo valorizza solo le aziende più grandi: chi lavora sulla qualità, i distretti di filiera corta, sono in difficoltà”, spiega Mammuccini. Sul cosa fare la presidente è decisa. “Scriviamo all’Anci, l’associazione nazionale dei comuni, per riaprire i mercatini rionali. Ma stiamo anche raccogliendo le principali criticità per provvedimenti strutturali da prendere, in modo da poterne parlare al governo. Questa è una crisi economica senza precedenti che necessita di interventi mirati per singole specificità, almeno nel nostro caso. C’è bisogno subito di manodopera per le aziende ortofrutticole che non riescono a raccogliere il prodotto”, spiega.

Emiliano Raccagni