Accordo di Parigi: il ruolo dell’agricoltura

2023

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Con la ratifica anche da parte della UE (5 ottobre 2016, QUI ), l’accordo di Parigi ha raggiunto il “quorum” ed entrerà in vigore il 4 novembre 2016. Si tratta di un evento che potremmo definire storico, in quanto il mondo si impegna nuovamente e in maniera vincolante per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e mantenere le variazioni di temperature medie  globali entro – o al di sotto se possibile – 2°C rispetto all’epoca pre-industriale. Tutti i settori produttivi sono chiamati a svolgere la propria parte nella diminuzione delle emissioni di carbonio.

Rilevanza di accordo di Parigi per il cibo e l’agricoltura

Un esplicito riferimento all’agricoltura viene fatto nel preambolo dell’Accordo ( QUI ), dove si riconosce la priorità fondamentale della tutela della sicurezza alimentare per porre fine alla fame nel mondo e le particolari vulnerabilità dei sistemi di produzione alimentare per gli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Inoltre il testo include riferimenti ai diritti umani, agli ecosistemi e alla biodiversità, elementi con cui l’agricoltura è in stretto contatto. L’accordo sottolinea l’importanza della produzione di cibo, affermando chiaramente che questo accordo mira a rafforzare la risposta globale ai cambiamenti climatici in un modo che non metta a repentaglio la produzione alimentare. Esso conferisce ai governi la libertà di decidere esattamente quali fonti di emissioni affrontare, ma afferma come obiettivo dei governi il raggiungimento di un equilibrio tra emissioni antropiche e pozzi di gas a effetto serra che dovrebbero essere conservati e migliorati.

Il ruolo fondamentale della agricoltura

Un accordo che mira a tenere le variazioni di temperatura al di sotto dei 2 gradi richiede azioni urgenti anche nel settore agricolo. Il contributo alla riduzione delle emissioni dell’agricoltura sarà indispensabile in quanto sarà impossibile rimanere all’interno di un obiettivo di 1.5 o 2°C se l’agricoltura non contribuisce alla riduzione delle emissioni. Infatti, secondo stime della FAO sui gas serra ( QUI ) le emissioni da parte dell’agricoltura, delle foreste e della pesca sono quasi raddoppiate negli ultimi cinquant’anni e potrebbero aumentare di un ulteriore 30% entro il 2050, se gli sforzi per ridurle non saranno intensificati. Le emissioni di gas serra provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento sono passate dai 4,7 miliardi di tonnellate equivalenti di biossido di carbonio (CO2 eq.) nel 2001 a oltre 5,3 miliardi di tonnellate nel 2011, con un aumento del 14% verificatosi soprattutto nei paesi in via di sviluppo a seguito dell’espansione della produzione agricola totale. Le fonti principali sono in particolare la produzione di cereali e l’allevamento, la conversione netta delle foreste ad altro uso (indicatore di deforestazione), la degradazione delle torbiere e la combustione incontrollata di biomassa. Le emissioni di metano prodotte da processi biologici conseguenti alla coltivazione del riso incidono per il 10% sul totale delle emissioni agricole, mentre quelle provenienti dagli incendi delle savane incidono per il 5%. Secondo i dati della FAO, nel 2011 il 44% dei gas serra di origine agricola è stato rilasciato in Asia, il 25% nelle Americhe, il 15% in Africa, il 12% in Europa e il 4% in Oceania. Questa ripartizione regionale si è mantenuta generalmente costante nell’ultimo decennio. Nel 1990, tuttavia, la quota dell’Asia sul totale era inferiore (38%), mentre quella europea era nettamente superiore (21%). I dati della FAO offrono anche una stima dettagliata delle emissioni provenienti dall’utilizzo di energia nel settore agricolo: l’energia da fonti tradizionali di combustibile, inclusa l’elettricità e i combustibili fossili utilizzati per muovere i macchinari agricoli, le pompe per l’irrigazione e le imbarcazioni per la pesca. Questi dati danno anche una idea di quelle che potrebbero essere alcune delle azioni future nel campo agricolo per diminuire le emissioni di gas serra. Maggiori informazioni QUI.

Maria Luisa Doldi