Tiepide politiche europee per il riso italiano

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Dopo una campagna risultata positiva per tutte le varietà, sia in termini di qualità che di quantità, il settore italiano riso riparte, dovendo affrontare difficoltà  che diventano sempre più evidenti. Una, in particolare, ovvero l’importazione di riso dai cosiddetti paesi PMA (Paesi Meno Avanzati) che negli ultimi anni ha fatto grossa concorrenza al riso nazionale. La problematica dell’aumento delle importazioni è stata finalmente presa in considerazione anche dall’Unione europea che, in una nota di recente diffusione, afferma che “l’importazione di riso dai paesi PMA vedrà un aumento ulteriore con un conseguente aumento degli stock”. Sebbene la posizione dell’Unione sia ancora tiepida nell’affrontare con misure mirate questa situazione, con questa nota sembra se non altro prendere atto dell’esistenza di una criticità per il riso italiano. Ma qual è esattamente il problema?

Ne parliamo con il Dr. Carrà, presidente Ente Nazionale Risi.

Quale problematica in particolare si trova oggi ad affrontare il riso italiano?

Quelle legate soprattutto alle importazioni a dazio zero dai paesi PMA. In particolare dalla Cambogia che, grazie a queste facilitazioni, è diventata in pochi anni il più importante esportatore di riso verso l’Unione europea. Non solo di riso lavorato sfuso, ma anche di riso confezionato già pronto da vendere sugli scaffali. E questo mette in difficoltà sia i produttori agricoli che i trasformatori europei.

Il riso asiatico fa concorrenza al riso italiano?

In Italia abbiamo due categorie di riso: la japonica, che comprende le varietà tipiche italiane utilizzate per fare risotto, minestre zuppe, etc., e l’indica, che comprende le varietà aromatiche da contorno commercializzate in area comunitaria. È su queste varietà che oggi si sente molto la concorrenza. Infatti, in tre anni si è più che dimezzata la superficie dedicata a queste tipologie di riso in Italia e di conseguenza ridotto il collocamento verso i paesi dell’Unione europea. Le tipiche varietà italiane vengono per ora coltivate solo in Italia ma questo non esclude che altri stati possano farlo in futuro. La Turchia, per esempio.

Cosa proponete voi, come Ente Nazionale Risi, per far fronte a questa situazione?

Noi chiediamo all’UE che tuteli la produzione europea. Se questo non può essere fatto tramite la reintroduzione dei dazi per ragioni politiche, allora che si ricorra ad altri strumenti mirati, ad esempio, a salvaguardare il prodotto europeo perché è un prodotto salubre, tracciabile, che sottostà a rigorosi controlli. Chiediamo che anche i prodotti di importazione sottostiano agli stessi controlli. Si favorisca, inoltre, una maggiore diffusione della conoscenza sulle qualità del riso europeo. Infine, per quanto riguarda l’origine del prodotto, chiediamo che venga facilitata l’indicazione dell’origine, cosa non sempre facile con le attuali regole europee. Vorremmo che si attuasse anche una riflessione sulla politica di esenzione dazi per alcuni paesi. Gli operatori italiani sentono le istituzioni comunitarie ripetere che tale politica è stata istituita per prevedere un regime speciale a favore dei PMA finalizzato a promuoverne lo sviluppo e a ridurne la povertà. Ma più parti, non da ultimo le statistiche FAO, affermano che, nonostante le facilitazioni nell’esportazione, il prezzo medio ottenuto dai produttori agricoli cambogiani è cresciuto in maniera poco significativa (+10% dal 2008 al 2012), nonostante l’incremento esponenziale delle esportazioni cambogiane verso l’Unione europea. A questo punto la Commissione europea dovrebbe chiedersi se l’esenzione dai dazi stia o meno apportando concreti benefici alla popolazione povera della Cambogia che sicuramente comprende gli agricoltori che coltivano riso. La risposta non può che essere negativa, perché i numeri dicono che i veri beneficiari sono da un lato i commercianti cambogiani che, grazie all’esenzione dal dazio, negli ultimi tre anni hanno potuto esportare il prodotto a un prezzo che è risultato mediamente superiore di ben $50 alla tonnellata a quello concorrente e, dall’altro, gli operatori europei che non pagano il dazio. È veramente questo l’obiettivo degli accordi bilaterali?

Due notizie sulla produzione italiana

L’Italia è il primo paese europeo per produzione di riso. Nella campagna conclusasi da poco (2015-2016) la superficie italiana dedicata al riso ammontava a 235.000 ettari, un po’ di più rispetto alla campagna precedente. Questo aumento di superficie è avvenuto soprattutto in Lombardia dove sono state convertite a riso alcune superfici precedentemente dedicate a mais, per via delle attuali difficoltà economiche di questa coltura sul mercato. In Italia il 70% del riso prodotto viene esportato e di questo più della metà è costituito da varietà indica.

Articolo di Maria Luisa Doldi

Figure: Fonte: Ente Nazionale Risi