Riso, patate e soia alla conquista di Marte

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La delusione seguita al rapido e inatteso epilogo della missione Schiaparelli non ha attenuato la curiosità attorno ai primi passi che l’uomo sta compiendo in vista di possibili e future colonizzazioni di Marte, prima e più vicina tappa di una presenza nello spazio che fra pochi decenni potrebbe essere qualcosa più di una sola utopia. Uno dei primi problemi da risolvere in questo scenario sarà, ovviamente, il modo con cui procurare il cibo per astronauti e coloni, che se costretti a periodi prolungati lontani dalla terra non potranno più basarsi solo sulle razioni “portate da casa”. Da anni laboratori e università di tutto il mondo collaborano con le più importanti agenzie spaziali per studiare scenari, possibili tecnologie e quali siano i metodi più razionali e applicabili di space farming, ovvero la coltivazione di piante in ambienti non terrestri come veicoli spaziali, stazioni orbitanti, fino direttamente sulla superficie di pianeti. Uno di questi progetti è Melissa, che coinvolge diversi atenei europei in collaborazione con Asi – agenzia spaziale italiana  ed ESA agenzia spaziale europea. Tra i protagonisti della ricerca, l’Università Federico II di Napoli, con Stefania De Pascale, docente di ortofloricoltura, che ha tracciato lo scenario di riferimento durante l’International Inventors Exhibition, tenutasi a Venezia negli scorsi giorni. A quali raccolti dovranno lavorare i futuri agricoltori dello spazio ma, soprattutto, come riusciranno ad ottenerli? Un argomento complesso certo, che però può essere tratteggiato almeno nei suoi punti essenziali, partendo dagli ortaggi come riso, soia, patate e grano, dotati delle proprietà per poter fornire i carboidrati fondamentali all’alimentazione umana, accanto a tante verdure fresche e a ciclo di coltivazione rapido, insalata in testa. Il tutto, naturalmente, dovrà essere coltivato con tecniche che tengano conto delle condizioni ambientali estreme, arrivando a sfruttare tutti i rifiuti organici prodotti dagli astronauti, all’interno di un sistema chiuso e perfettamente sostenibile.

Le colture di queste piante–  dice Stefania De Pascale- avranno una doppia funzione: fornire cibo e rigenerare aria e acqua nelle colonie. Grazie al progetto Melissa stiamo lavorando da anni per selezionare le cultivar, adattare le tecniche di coltura e sviluppare metodi di raccolta per la conservazione dei prodotti”. E se sulla stazione spaziale internazionale si è già sperimentato il primo raccolto spaziale, della semplice insalata coltivata grazie a tecniche di agricoltura idroponica, su Marte le tecniche di coltivazione saranno più simili a quelle terrestri non potendo sfruttare, nell’immediato, la superficie.  Su Marte c’è gravità, anche se il 40 %in meno rispetto a quella terrestre e l’atmosfera, composta per il 95% di anidride carbonica, non è in grado di proteggere la superficie dalle radiazioni solari.

Quello che non mancherà sarà il terreno adatto alle colture, perché è probabile che il suolo marziano ricco di regolite possa comunque essere reso utilizzabile grazie all’uso di residui organici come gli scarti alimentari o delle stesse coltivazioni. Per mettere in pratica tutto ciò, si pensa a diversi tipi di soluzioni, come la realizzazione di serre, all’inizio “gonfiabili”, che dovranno essere in grado di proteggere le coltivazioni dai venti marziani e dalle radiazioni. Oppure, si dovrà scavare per creare degli ambienti sotterranei nei quali fare crescere le piante con l’aiuto di energia procurata da fibre ottiche e collettori solari. Si continuerà a puntare, comunque, anche sull’agricoltura idroponica, senza suolo e con soluzioni circolanti complete di elementi nutritivi, che hanno già dimostrato, testate sulla soia, di poter migliorare produttività e qualità rispetto alla coltura in campo.

Articolo di Emiliano Raccagni

Crediti fotografici: ESA – agenzia spaziale europea