Per la vendita a catena di macchine agricole non c’è diritto a detrazione Iva

1036

L’azienda già proprietaria di attrezzatura o di macchinari, quali trattori agricoli e beni strumentali, che effettua vendite circolari del bene interponendosi tra la società di leasing finanziario appartenente allo stesso gruppo e molteplici imprenditori agricoli, stipulando contratti simulati di finanziamento al solo fine di generare artificiosamente i requisiti necessari per fruire del credito agevolato previsto dalla legge Sabatini, pone in essere operazioni volte a far apparire come nuovi beni strumentali in realtà usati che, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica, non sono imponibili a Iva e non generano alcun diritto alla detrazione d’imposta. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 17710 del 22 giugno scorso.

La vicenda processuale ha preso le mosse a seguito degli avvisi di accertamento, relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, con cui l’Agenzia delle Entrate ha provveduto a recuperare l’Iva detratta indebitamente da una società poiché, a suo avviso, era soggetto interposto tra una società di leasing finanziario, appartenente allo stesso gruppo e dalla quale acquisiva beni e attrezzature agricole, e il precedente proprietario, al quale li cedeva di nuovo. Secondo l’ufficio, in realtà si trattava di operazioni poste in essere tra tre soggetti quali l’imprenditore agricolo che cedeva un proprio bene strumentale usato alla società contribuente, esercente attività di commercio all’ingrosso di macchine agricole, e quest’ultima lo acquistava al prezzo corrispondente a quello dello stesso bene nuovo. Poco dopo, la società vendeva il bene allo stesso prezzo di acquisto ad altra società del gruppo che, a stretto giro, lo ritrasferiva all’originario imprenditore agricolo consentendogli di fruire dei vantaggi fiscali, consequenziali all’acquisto cartolare di un bene strumentale nuovo, e l’accesso al credito agevolato, previsto dalla legge Sabatini per favorire investimenti agricoli.

A parere dell’ufficio, quindi, le operazioni risultavano realizzate al solo fine di generare artificiosamente i requisiti necessari per fruire del finanziamento previsto dalla legge Sabatini, in quanto volte a far apparire come nuovi beni strumentali in realtà usati e di valore notevolmente inferiore a quello artificiosamente fatturato dalle parti.

La società contribuente ha impugnato gli avvisi ma senza successo in primo grado ma con integrale accoglimento dei motivi di impugnazione della sentenza sfavorevole nell’appello. Il giudice di appello, nello specifico, ha qualificato l’operazione come sale and sale back, specificando che il cessionario era anche cedente del medesimo bene, per cui, mediante il sistema della rivalsa e delle detrazioni, l’Iva era stata compensata per imponibili di pari valore. La Commissione regionale, inoltre, ha escluso la natura fraudolenta del contratto riconoscendo la sua causa concreta nello scopo di assicurare immediata liquidità, consentendo tale assetto negoziale sia di restituire il finanziamento ottenuto con lunga dilazione, sia di ottenere il vantaggio economico consistente in interessi passivi scontati rispetto a quelli al tasso ordinario.

L’Agenzia ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione e la Corte, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso originariamente proposto dalla società e ha affermato che «indipendentemente … dalla configurazione del contratto come sale and lease back, o come sale and sale back, non è comunque ravvisabile alcuna operazione imponibile da cui scaturisca il diritto di detrazione».

di Antonio Longo