L’uso agronomico del Digestato

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Il 18 aprile 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale del 25 febbraio 2016Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue, nonché per la produzione e l’utilizzazione agronomica del digestato“ (Decreto Effluenti). Esso prevede la revisione delle norme relative all’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, sinora disciplinate dal decreto ministeriale 7 aprile 2006, e introduce nuove norme sull’utilizzazione agronomica del digestato, prodotto dagli impianti di digestione anaerobica.

Con questo decreto si sancisce la possibilità di “utilizzazione agronomica del digestato” ovvero “la gestione di digestato, dalla sua produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al suo utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzato all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti in esso contenute”.  Una frase, quest’ultima, che riconosce all’utilizzo del digestato (oltre che dei reflui e di quant’altro trattato in questo decreto) un ruolo nel recupero delle sostanze nutritive e minerali in esso contenute, in primis azoto, fosforo e carbonio. Si tratta di un piccolo passo verso la realizzazione di un’economia circolare in agricoltura, modello che si sposerebbe perfettamente con quelle che sono le sfide principali dell’agricoltura moderna: aumento della produzione nel rispetto delle risorse non finite; gestione sostenibile dei suoli e delle acque; diminuzione delle emissioni di carbonio e dell’uso di combustibili fossili. Anche per questo la pubblicazione in Gazzetta del Decreto ha causato reazioni positive. Ad esempio, quelle di Federica Galleano, vicepresidente FIPER: “Finalmente l’entrata in vigore del decreto segna un punto di svolta per le imprese agricole che potranno valorizzare il digestato derivante dal biogas agricolo”.

Alcune novità del decreto

Tra le novità del Decreto vi sono:

  • la suddivisione del digestato in agrozootecnico ed agroindustriale;
  • il divieto di utilizzazione agronomica del digestato prodotto da colture che provengano da siti inquinati;
  • la possibilità per le Regioni di modificare il periodo obbligatorio di 60 giorni di divieto di spandimento degli effluenti, a seconda delle diverse condizioni climatico-ambientali;
  • il calcolo dell’azoto tramite l’effettivo fabbisogno delle colture.

Un Decreto non privo di difetti

Ma non è tutto oro quel che luccica. Il Decreto presenta anche alcuni “nei”. Di due in particolare si è parlato alla manifestazione “Bioenergy Italy”, tenutasi a Cremona proprio a ridosso della pubblicazione in Gazzetta: 1) il limite posto all’utilizzo di colture dedicate e 2) lo stralcio dell’equiparabilità del digestato ai concimi di sintesi. Vediamoli qui di seguito.

 

1) Tra sottoprodotto e rifiuto il passo è (troppo) breve

All’articolo 22 del Decreto Effluenti si legge che il digestato destinato ad utilizzazione agronomica deve essere prodotto da impianti alimentati (anche) con “materiale agricolo derivante da colture agrarie (…) e che per gli impianti autorizzati successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, tale materiale non potrà superare il 30% in termini di peso complessivo”. Qui il Decreto pone un limite all’utilizzo di colture dedicate in entrata nel digestore e, in base a questo, decide se il digestato che ne deriva debba essere considerato sottoprodotto (meno del 30%) e quindi possa essere utilizzato agronomicamente o sia da considerare rifiuto (più del 30%) e quindi non possa essere utilizzato agronomicamente. “Si tratta di una pura aberrazione scientifica inaccettabile” afferma Lucia Mannelli, presidente della associazione Chimica Verde a Bioenergy. “Si dice in sostanza che quello che il mondo agricolo ha fatto per circa 2000 anni, ovvero utilizzo dei vegetali come fertilizzante, non va bene e si considera il derivato un rifiuto se ne ha una componente maggiore del 30%. Un conto è che il Ministero decida di non sovvenzionare le colture energetiche per la produzione di biogas, ma affermare che  il digestato che ne deriva è rifiuto e non sottoprodotto è contro ogni logica e prova scientifica”. Aberrante, ma coerente con la normativa abbastanza confusa che oggi vige in Italia per la definizione di sottoprodotto e rifiuto.

 

2)Concime o non concime?

Il Decreto Effluenti pubblicato in Gazzetta è rimasto orfano di un articolo che introduceva l’equiparazione 
del digestato ai concimi di sintesi. Questa sarebbe stata la grande novità del Decreto e sarebbe stato in linea con quanto affermano numerosi studi scientifici secondo cui il digestato non solo è equiparabile, ma in alcuni casi porta risultati agronomici migliori, oltre che vantaggi economici e ambientali.

La buona notizia? Il 17 marzo 2016, nell’ambito del cammino dell’Europa verso l’Economia Circolare – di cui non sempre vediamo le tracce nei Decreti nostrani – è stata pubblicata la proposta UE COM(2016) 157 per il nuovo regolamento sui Fertilizzanti, che modifica i regolamenti (CE) n.1069/2009 e (CE) n.1107/2009 e che avrà effetto a partire dall’anno 2018. In essa, all’articolo 2, vi è la definizione di fertilizzante: “una sostanza, una miscela, un microrganismo o qualsiasi altro materiale, applicato o che si intende somministrare, da solo o in associazione ad un altro materiale, alle piante o alla loro rizosfera allo scopo di fornire nutrienti alle piante o di migliorarne l’efficienza nutrizionale”. Non è forse una definizione che calza a pennello per il digestato? “Spero che in base a questa definizione il digestato venga equiparato finalmente al concime  e riconosciuto per quello che è” conclude Lucia Mannelli.

di Maria Luisa Doldi