Lo sviluppo del biologico passa dai Psr

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La crescita qualitativa e quantitativa dell’agricoltura biologica in Italia non può prescindere dalle scelte che caratterizzeranno i futuri PSR  e in generale dalle scelte che le politica di sviluppo rurale 2014-2020 hanno deciso di riservare al settore, con l’ambizioso obiettivo di raddoppiare nei prossimi sette anni le superfici coltivate e contestualmente il numero degli addetti coinvolti.  Concetti emersi con forza durante il convegno organizzato pochi giorni fa a Matera da Cia-Confederazione italiana agricoltori e Anabio, la sua emanazione per il settore biologico.

Secondo quanto emerso durante l’incontro i nuovi Programmi di Sviluppo Rurale, tuttora in fase di negoziato con la Commissione europea, prevedono una misura specifica, autonoma e svincolata dagli interventi agro-climatici e dovrebbero essere supportati da una dotazione finanziaria, che per la prima volta supererebbe il 10% del budget totale, dedicato allo sviluppo rurale nel suo complesso. Il sostegno al settore non si dovrà limitare solo ai premi specifici previsti nei PSR, ma anche a iniziative orizzontali e trasversali, che coinvolgano il tema della promozione e gli interventi sulla filiera, comprese le fasi di controllo e distribuzione.

Attualmente, in Italia l’agricoltura biologica occupa circa il 9% della superficie agricola coltivata, con un totale di 1,1 milioni di ettari. I numeri sono in continua crescita, come dimostra il +5% registrato nell’ultimo anno dal “censimento” degli operatori di filiera, oggi oltre 52mila, di cui quasi l’80% produttori esclusivi. Eppure, dicono da Cia e Anabio, molto si può ancora fare per superare i punti di debolezza ancora presenti nel settore e lo strumento chiave sul quale far leva può essere, appunto, il PSR.

Bisogna infatti agire soprattutto sulla scarsa organizzazione delle filiere e in particolare sulla carenza di disponibilità e strutture per lo stoccaggio e la logistica dei prodotti. Occorre intervenire, inoltre, sull’ancora marginale diffusione delle colture a valore aggiunto, quelle con più forti potenzialità di richiesta sui mercati nazionali e internazionali: ortaggi (22mila ettari), frutta (28mila ettari); agrumi (28mila ettari); vite (68mila ettari); colture industriali (16mila ettari).

Tutti obiettivi che, insieme, potranno concorrere al traguardo del “raddoppio”. Si parte dal rafforzamento delle nuove filiere e alla ricerca di quelle nuove, rafforzando i settori già bene strutturati e presenti. Si passa poi allo sviluppo dell’aggregazione e delle logistica, anche attraverso l’istituzione di distretti biologici che meglio di altri strumenti possono concorrere a valorizzare l’ambiente, la storia, le tradizioni e la cultura dei mille territori italiani. E, ancora, serve sviluppare una vera e propria zootecnia “bio” già a monte della filiera, con l’inizio della produzione di mangimi biologici, oltre alla valorizzazione delle zone d’alpeggio e delle aree montane che, con lo spopolamento degli ultimi decenni, costituiscono un nuovo bacino “incolto” dal potenziale enorme.

Infine, da Matera è stato lanciato l’appello perché i giovani che praticano l’agricoltura biologica e istituiscono fattorie sociali abbiano priorità nelle misure di sostegno, soprattutto se dediti a programmi di trasformazione delle aziende o se conducono agriturismi biologici e produzioni di erbe officinali.

Articolo di Emiliano Raccagni