Può considerarsi legittima l’attività svolta da un soggetto, iscritto come piccolo imprenditore agricolo nella sezione speciale della Camera di commercio, che operi su area pubblica, il quale venda, soprattutto, prodotti acquistati presso terzi, nello specifico presso il mercato ortofrutticolo, per poi rivenderli in forma itinerante o presso i posteggi dei mercati settimanali, rappresentando, pertanto, i propri prodotti la minor parte delle vendite sotto il profilo quantitativo?
Il dubbio è stato sottoposto all’attenzione del Ministero dello Sviluppo Economico che, con Risoluzione n. 169670 dello scorso 8 maggio, sulla scorta di quanto prevede il D. Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, ha fornito la corretta interpretazione in materia.
La Risoluzione, preliminarmente, richiama l’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, il quale dispone che: “Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”. Richiama, inoltre, il successivo comma 5 del medesimo decreto che, testualmente, recita: “La presente disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa”.
Richiama, infine, in maniera determinante, il comma 8 che dispone: “Qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 114 del 1998”.
Pertanto, dal combinato disposto delle norme, la Risoluzione evidenzia come risulti espressamente che i produttori agricoli sono legittimati a vendere, senza osservare le prescrizioni del decreto legislativo n. 114 del 1998, anche prodotti non provenienti dai propri fondi, ivi compresi, quindi, i prodotti trasformati presso altre aziende agricole, ma anche quelli che risultano oggetto di un ciclo industriale di trasformazione, purché in misura non prevalente e comunque entro i limiti fissati dalle disposizioni.
Alla luce di quanto delineato dal punto di vista normativo, la Risoluzione sottolinea, quindi, che al fine dell’individuazione dei limiti di detta attività aggiuntiva occorra fare riferimento alla disposizione contenuta nel citato comma 8; ne consegue, quindi, che è l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non ottenuti nella propria azienda, che supera in tal caso il significato analitico del termine prevalente: il medesimo ammontare deve, infatti, comunque rimanere entro certi limiti di importo fissati, sia quelli percentuali, relativi alla prevalenza, che quelli assoluti, relativi ai ricavi, poiché superare i medesimi comporta il passaggio dell’attività di imprenditore agricolo a quella di esercente al dettaglio, nelle differenti forme di vendita e con i relativi adempimenti previsti per lo svolgimento dell’attività commerciale, con la conseguente applicabilità delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
Il Ministero richiama per completezza, in seno al provvedimento, anche quanto già precisato nella precedente nota n. 343306 del 2 novembre dello scorso anno, ossia che non esistono norme della disciplina commerciale che impongano agli imprenditori agricoli di adottare modalità di esposizione o di etichettatura che consentano con evidenza all’acquirente di distinguere tra i prodotti provenienti o meno dal proprio fondo, fermo restando che per gli organi di controllo esistono modalità e strumenti idonei ad accertare l’effettiva provenienza dei prodotti ed a verificare il rispetto dei limiti di vendita di quelli non provenienti dal proprio fondo.
In detta nota, pur condividendo l’opportunità che ai consumatori sia fornita un’informazione chiara e trasparente anche in merito alla effettiva provenienza dei prodotti in questione, e pur ritenendo che tale esigenza risponda non solo all’interesse alla tutela dei consumatori, ma anche ad un’esigenza di tutela della reputazione e di mantenimento della fiducia nell’interesse degli stessi produttori agricoli, il Ministero ha ritenuto che tali esigenze non possano essere perseguite con interpretazioni delle norme vigenti che ne desumano obblighi che in molti casi potrebbero risultare eccessivamente rigidi e sproporzionati rispetto alle stesse esigenze da salvaguardare, bensì incoraggiando e sensibilizzando gli stessi produttori agricoli, sia da parte delle loro associazioni di categoria che da parte dei consumatori e delle loro associazioni, all’adozione, in nome della trasparenza e alla luce della necessità del rispetto del rapporto fiduciario che va mantenuto tra acquirente e venditore, della buona prassi di garantire all’acquirente informazione adeguata alla consapevolezza di quali dei prodotti venduti siano effettivamente provenienti dal proprio fondo.
Di Antonio Longo