Il bicchiere della staffa

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La sua filosofia è riassunta dal suo personale “ABC”: Artigianale, Biologico, Classico. Un colpo di fulmine per il vino Verdicchio. È così che il viticoltore marchigiano Riccardo Baldi dell’azienda agricola La Staffa – che oggi ha 31 anni e numerosi riconoscimenti alle spalle – ricorda i tempi dei suoi 19 anni, quando nel 2009, poco più che maggiorenne, aprì la partita iva della sua attività e iniziò la sfida delle prime vendemmie. Nei terreni che i nonni paterni decenni addietro coltivavano a mezzadria, producendo un primo rudimentale vino di famiglia, e dove lui ora invece sperimenta prestigiose etichette, vincendo premi.

“Pensavo: ho 19 anni, poi semmai potrò anche scegliere altro – ricorda l’imprenditore marchigiano – Ma no, in realtà quando parlo di colpo di fulmine è questo che intendo. Sono passati dodici anni e non mi capaciterei di essere altrove tra altri dodici. Qui non conto le giornate, non percepisco lo scorrere del tempo, a contatto con il silenzio cosmico della natura. Fin da bambino, ho subito il fascino della mia terra. Le vigne e la natura di Staffolo hanno sempre fatto parte della mia vita: quando ancora andavo a scuola osservavo con attenzione il lavoro di mio zio nella cantina di famiglia. Così a un certo punto, nel 2009, ho deciso di cambiare quello che doveva essere la mia vita e dall’università sono passato a prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia. Se mi guardo indietro, è stata la scelta più importante della mia vita fatta fino a oggi.”

“Mai sentito” è il suo coraggio di osare. Il nome del suo Verdicchio frizzante, metodo ancestrale, rifermentato in bottiglia. Una tra le scommesse più ardite e riuscite della cantina La Staffa, una realtà vitivinicola che deve il suo nome al paesino di Staffolo, in provincia di Ancona, dove ha la sua sede, nei bei colli marchigiani non distanti da Jesi.

“La mia azienda – spiega Riccardo Baldi – si trova sulle dolci colline di Staffolo, un comune soprannominato il “Balcone della Vallesina” per lo splendido panorama puntellato da filari di uva che si ammira dalle mura del borgo medievale. Poco più di duemila abitanti e una ventina di case vinicole: non c’è da stupirsi se viene chiamato il “Colle del Verdicchio”. Il Verdicchio appunto è l’uva e il vino di punta della mia cantina, quello che rappresenta al meglio il territorio e testimonia l’elevata qualità produttiva di queste terre. In totale abbiamo 12 ettari vitati, di cui 7 in Contrada Castellaretta e altri 5 in alcuni appezzamenti vicini. L’altezza dei vigneti oscilla tra i 400 e i 500 metri. I tre concetti chiave al centro del nostro lavoro in vigna e in cantina sono: interventi minimi; rispetto della natura e parola al territorio. In vigna, il nostro compito è accompagnare la natura per consentirle di esprimersi al massimo delle potenzialità. La scelta di produrre in biologico è una condizione ideale per dare vita a vini identitari e di qualità, perché ci costringe ad ascoltare davvero ogni pianta garantendole le condizioni migliori per crescere sana e produrre uva perfetta, ingrediente essenziale per un grande vino.”

Quanto al settore in generale, con le sue dinamiche e le attese, Riccardo Baldi conclude: “Negli ultimi anni c’è stata una forte spinta verso l’agricoltura biologica e quelli che vengono definiti vini naturali. Da un lato è una cosa buonissima, perché è indice di una maggiore sensibilità nei confronti della natura in cui viviamo. Dall’altro, è bene ricordare che l’agricoltura biologica è un’agricoltura in un certo modo preventiva. Ci costringe a un’attenzione maniacale, dobbiamo per certi versi anticipare gli eventi, lavorando per impedire che piogge o umidità spianino la strada all’avvento di malattie funginee. Ciò richiede una presenza in vigna costante e un continuo monitoraggio meteorologico. In poche parole richiede un surplus di conoscenza, lavoro e amore. Se questi ingredienti ci sono, la strada è giusta; se la scelta della conversione in biologico segue una moda del momento, invece non può portare a risultati qualitativamente apprezzabili nel lungo periodo. L’Italia è il paese al mondo con maggiore biodiversità, abbiamo un patrimonio colturale che tutto il mondo ci invidia. Saperlo valorizzare puntando sui vitigni autoctoni del territorio è fondamentale, sono questi che possono far apprezzare davvero un territorio. Un auspicio è che alcuni grandi vitigni italiani riescano a farsi apprezzare anche all’estero conquistando l’attenzione che meritino. Con il Verdicchio ci stiamo riuscendo e questo dimostra che quando ci sono qualità, passione e apertura mentale i risultati piano piano arrivano sempre.”

Sanzia Milesi