Foto di gruppo (secondo INEA)

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La fotografia del settore scattata da INEA mette in luce punti di forza e di debolezza di un’agricoltura che, ai colpi inferti dal contesto economico, risponde con brillanti performance nel commercio internazionale e nella produzione di energie rinnovabili, a testimonianza della sua capacità di reazione e della sua forza basata, tra le altre cose, anche sul rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica. Profonda ristrutturazione in atto anche per la nostra agricoltura, però, che, in controtendenza rispetto agli altri settori dell’economia nazionale, era riuscita a resistere brillantemente alla crisi economica in atto dal 2008. Il 2012, infatti, è stato il primo anno in cui il settore agricolo ha davvero accusato gli effetti della recessione, con un calo della produzione, del valore aggiunto e della domanda di prodotti agricoli.  È questo ciò che emerge dal Rapporto sullo stato dell’agricoltura 2013, importante strumento di analisi del sistema agro-alimentare nazionale, presentato recentemente dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), giunto alla sua decima edizione.

Il calo di produzione, valore aggiunto e domanda

Tra il 2008 e il 2012, mentre il PIL reale nazionale perdeva il 6,9% del proprio valore, con un tasso medio del -1,4% all’anno, il settore agricolo nel suo complesso ha reagito decisamente meglio, almeno fino al 2011. Nel 2008, infatti, la produzione ha mostrato un aumento, seppur lieve, rispetto all’anno precedente, per poi ridursi nei due anni successivi, in maniera altrettanto contenuta. Lo stesso andamento anche per il valore aggiunto e i consumi intermedi hanno consentito al settore di limitare i danni della crisi fino allo scorso anno. È infatti solo nel 2012 che l’agricoltura si trova a fare i conti con la crisi vera e propria che, seguendo il trend che ha coinvolto anche gli altri Paesi europei, ha determinato una diminuzione della produzione (­ 3,3%) e un calo del valore aggiunto (­ 4,4%). Notevoli in questo senso le differenze tra le realtà regionali: in Piemonte, ad esempio, accanto a una forte concentrazione delle imprese, il valore aggiunto è in crescita, a differenza di quanto accade, invece, in Lombardia e in Veneto dove entrambi i parametri registrano un -6%. Contemporaneamente anche la domanda di prodotti agro-alimentari si è ridotta (-3,2%) rispetto al 2011, a seguito di una diminuzione della spesa media mensile delle famiglie.

La ristrutturazione del settore agricolo

La situazione delineata nel rapporto INEA è quella di un settore agricolo che sta attraversando una fase di profonda ristrutturazione caratterizzata dalla chiusura di circa 100.000 aziende in cinque anni, un calo dell’occupazione generalizzato a livello nazionale e un inserimento di giovani imprenditori sotto la media europea. Le imprese agricole nel 2007 erano 901.952. Nel 2012 sono arrivate ad essere 809.745 a seguito di una riduzione costante e regolare su tutto il quinquennio. Alla base di questa contrazione, oltre all’insufficiente ricambio generazionale che da sempre caratterizza il tessuto imprenditoriale della nostra agricoltura, il rialzo della spesa per i consumi agricoli intermedi (+2.9%), determinato dall’incremento dei prezzi agricoli (5,1%) e la contemporanea diminuzione delle quantità. In particolare, per il comparto delle produzioni vegetali e animali il calo del livello produttivo del 3,2% è stato recuperato solo grazie all’aumento dei prezzi dei prodotti venduti (+5,2%) che ha bilanciato un pari aumento dei prezzi dei mezzi tecnici acquistati (+5,0%). Ad eccezione dei prodotti fitosanitari in lieve aumento, tutte le principali categorie di consumi intermedi, quali mangimi, sementi, concimi, energia motrice, reimpieghi e altri beni e servizi hanno registrato una sostanziale diminuzione rispetto al 2011. Per quanto concerne l’occupazione, sono oltre 20.000 in meno, rispetto al 2007, le persone impiegate in agricoltura nel 2012: 849.000 in totale di cui 115.000 stranieri, aumentati del 114% dal 2008 al 2012! Nonostante l’entità della riduzione (concentrata soprattutto al Centro –Sud) sia piuttosto seria, la dinamica interna della variazione ha dei risvolti positivi. Il forte calo dei lavoratori indipendenti, imputabili alle aziende, per la maggior parte familiari, che sono diventate inattive, insieme a un altrettanto ingente aumento dei lavoratori dipendenti, ha fatto raggiungere a questi ultimi la quota del 50% del totale, con un’incoraggiante diminuzione del lavoro ‘irregolare’, che ancora oggi rappresenta più del 35% del totale. Il ricambio degli imprenditori anziani con l’inserimento dei giovani nel processo produttivo agricolo sembra essere piuttosto inerte. Nonostante il rinnovato interesse nella terra e nei mestieri legati al settore primario, solo il 5% delle aziende italiane è condotto da giovani imprenditori. Nonostante gli ampi margini di miglioramento, il Rapporto INEA sottolinea come le imprese condotte da giovani (più numerose nel Sud) presentino dimensioni economiche maggiori di quelle condotte da altre fasce d’età e si caratterizzino per uno spiccato livello tecnologico, risultando più competitive sul mercato, a testimonianza del valore dell’imprenditorialità degli under 35, motore dell’agricoltura italiana del futuro.

Gli scambi commerciali, il credito e gli investimenti

Se fin qui i dati presentati potrebbero apparire sconfortanti, ad illuminare la scena ci pensa il brillante andamento degli scambi commerciali, che continuano a trainare la nostra economia. L’andamento anticiclico del commercio internazionale, con la ripresa della domanda internazionale e delle importazioni sebbene a tassi sensibilmente più bassi, ha favorito il costante miglioramento della bilancia commerciale alimentare. Il suo saldo negativo è passato, infatti, dal ­15% del 2007 al ­9% del 2012. Gli sbocchi della produzione sono quindi stati spostati dal mercato interno, in crisi, verso i mercati esteri, molto più dinamici, facendo aumentare le esportazioni agro-alimentari dal 7% all’8,2%. Tra queste, gli alimenti trasformati costituiscono la componente più significativa per un totale di 19 miliardi di €, seguita a distanza dalle bevande (6,2 miliardi di €) e dal settore primario (5,6 miliardi di €). Fiore all’occhiello il ‘made in Italy’ agricolo che, contrariamente a tutte le altre categorie merceologiche, non ha subito negli anni contrazioni di rilievo, a riprova della forza della qualità italiana oltre confine. Segnali positivi anche dalle migliori performance del comparto agricolo, rispetto agli altri settori dell’economia nazionale, per quel che riguarda il credito, cresciuto dell’1% tra il 2011 ed il 2012. Minor fragilità dell’agricoltura, dunque, come testimonia anche la ripresa degli investimenti che, a seguito del tracollo del 2008, hanno vissuto una fase di lenta ripresa a partire dal 2009, che li ha ricondotti nel 2012 ai livelli del 2007, supportata anche dalla messa a regime degli aiuti concessi dalle Politiche di Sviluppo Rurale.

Articolo di Claudia Bulgheroni

pubblicato su Imprese Agricole, Novembre 2013