Esternalità dei prodotti agricoli

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Quando si parla di costi esterni o esternalità di un prodotto, si intendono quei costi che non sono inclusi nel prezzo del prodotto stesso (appunto, sono esterni ad esso) e che quindi sui tempi brevi nessuno paga, ma che sui tempi lunghi il contribuente dovrà sostenere in termini di difesa ambientale, costi sociali etc. per risolvere problemi legati alla sua produzione o utilizzo. Ad esempio, si parla di costi esterni del petrolio indicando i costi non inclusi nel prezzo al barile ma che prima o poi il cittadino dovrà sostenere per far fronte a problemi derivanti dall’uso di tale materia (cambiamento climatico, inquinamento dell’aria, etc. ). In agricoltura raramente si parla di costi esterni dei prodotti ma ora uno studio dell’università di Ferrara pone l’accento anche su questo aspetto.

Andiamo con ordine. L’agricoltura europea occupa il 45% del territorio dell’Unione e ad essa è legato oltre il 30% del consumo totale di acqua. Con tali numeri anche piccole modifiche nelle tecniche di coltivazione possono avere un impatto significativo sull’ambiente. Alcuni ricercatori dell’Università di Ferrara hanno ritenuto interessante poter mettere a punto un metodo per esprimere almeno una indicazione anche dei costi esterni (ambientali, ad esempio) di alcune colture comuni con l’obiettivo di migliorare la valutazione della sostenibilità agricola in Europa. I ricercatori hanno utilizzato l’analisi del ciclo di vita (LCA), un tipo di analisi che cerca di tenere conto di tutti gli impatti ambientali lungo la produzione o la catena di fornitura di un prodotto.

Tale analisi è stata applicata a pomodori da agricoltura biologica e a grano, mele e lattuga da coltivazioni intensive, per mostrare l’impatto di diversi metodi di produzione agricola. Gli studi hanno avuto luogo in Emilia Romagna, una delle regioni italiane maggiormente interessate dall’agricoltura e hanno utilizzato i dati ottenuti da 40 aziende. Per l’analisi di LCA si sono presi in considerazione fattori come il gasolio utilizzato per arare i campi, l’acqua per irrigare le colture e benzina per trasportare il prodotto raccolto. Tra gli impatti ambientali si sono considerati anche la tossicità per l’uomo, l’eutrofizzazione, il consumo di acqua, e gli effetti sul riscaldamento globale. Nello studio si sono considerati anche gli impatti finanziari del prodotto per le aziende.

I risultati indicano che le tecniche di agricoltura biologica diminuiscono effettivamente la produzione di CO2 e i rischi di inquinamento tossico per la salute umana e per l’ambiente rispetto alle pratiche agricole intensive standard. Inoltre, quando i pomodori coltivati ​​biologicamente sono stati confrontati con i risultati di uno studio separato che ha analizzato l’impatto ambientale di pomodori coltivati in maniera intensiva nel Sud Italia, sono risultate differenze sorprendenti: il ‘potenziale di riscaldamento globale’ di questi ultimi  è risultato 12 volte maggiore. I ricercatori hanno elaborato dunque un calcolo indicativo dei costi “esterni” per ciascuna di queste colture. Il risultato? Per via degli alti livelli di pesticidi e fertilizzanti utilizzati, il grano da coltura intensiva è stato stimato avere un costo esterno di € 1,37 per kg, mentre i pomodori coltivati ​​biologicamente determinano costi esterni di sole 0,03 €. Quando questi costi esterni sono considerati in relazione ai prezzi di mercato dei prodotti in questione, portano una nuova prospettiva sulla vera convenienza e sulla sostenibilità delle diverse tecniche di coltivazione. I ricercatori sottolineano come il calcolo di questi costi sia compito difficile e controverso, per via della vasta gamma di variabili coinvolte. Tuttavia vale la pena considerarli come un indice per poter dirigere la produzione agricola verso pratiche colturali migliori, meno impattanti e con i minori costi esterni e dunque  contribuire a migliorare la sostenibilità agricola. QUI l’articolo pubblicato dai ricercatori di Ferrara con tutti i risultati dello studio condotto.

Articolo di Maria Luisa Doldi