A basso potenziale di conflitto

Utilizzo delle biomasse in cascata fino alla produzione di energia, valorizzando prodotti secondari, reflui e rifiuti: questo il vero potenziale delle biomasse a scopi energetici.

Prima dell’intenso utilizzo energetico di carbone, petrolio e gas, le biomasse venivano impiegate per coprire molti dei bisogni umani: da quello del cibo a quello energetico, da materiali di costruzione alla produzione di tessuti. Fino all’industrializzazione l’agricoltura era caratterizzata da cicli chiusi di materia ed energia. L’avvento della meccanizzazione, dell’industria chimica e dell’utilizzo di materie fossili ha cambiato radicalmente l’utilizzo delle biomasse: globalizzazione dei flussi di materia ed energia con apertura dei cicli, produzione intensiva di biomasse agricole. Secondo recenti analisi e studi raccolti dall’Ufficio Federale tedesco per l’Ambiente UBA in un resoconto di recente pubblicazione dal titolo “Utilizzo globale e sostenibile della terra e delle biomasse”, oggi la produzione di biomasse ha la seguente distribuzione: dei 13,4 miliardi di ettari di terre emerse a livello globale circa 3,9 miliardi sono superfici boschive e 5 miliardi sono invece superfici agricole. Queste si suddividono in 3,55 miliardi di ettari di pascoli, prati, incolti e in 1,45 miliardi di ettari coltivati. Per pascoli e coltivi si è assistito ad un aumento del 3% della superficie tra il 1985 e il 2005, soprattutto nelle zone tropicali,  molto meno nelle zone temperate. I terreni coltivati sono circa 1.445 milioni di ettari e la maggior parte della terra è utilizzata per produrre foraggio per animali e solo una minima parte per coltivare piante per bioenergie. Per quanto riguarda le superfici boschive, queste occupano circa il 30% delle terre emerse  e sono utilizzate soprattutto per produrre legno (2 miliardi di ettari) ed energia (1,9 miliardi di ettari). Tra il 1990 e il 2010 si è assistito a perdite di tali superfici di circa il 3,2% (Fonte FAO).

La produzione mondiale di biomassa ammonta a circa 13 miliardi di tonnellate, di cui il 58% viene utilizzato come foraggio, il 15% per il nutrimento umano e il resto per la produzione di energia e materiali. Secondo la FAO, oggi ci sarebbero a  disposizione 0,72 ettari di terra e 2790 kcal/giorno a testa, anche nei paesi in via di sviluppo. Ma nel 2011 le persone affamate erano più di un miliardo, tante come non mai. Cosa ci dicono allora questi numeri?

Ci limitiamo qui a evidenziare solo due elementi:

•         la fame non è solo questione di possibilità di produzione quanto piuttosto di capacità di distribuzione equa e, in parte, questa è una buona notizia, perché il problema delle distribuzione è forse più facile da risolvere rispetto alla incapacità di produzione;

•         solo una minima parte (55 milioni di ettari su 1.445) della superficie coltivata viene occupata da colture a fini energetici.

Quest’ultima notizia dovrebbe tranquillizzare tutti quelli che temono una concorrenza tra piatto e serbatoio. Più preoccupante, invece, la notizia che una buona parte di questa superficie si trova in paesi terzi, per la coltivazione – ad esempio - di canna da zucchero, palma da olio ecc. e che spesso queste coltivazioni avvengono a discapito di ecosistemi tanto delicati quanto fondamentali. Giuste, dunque, le proteste contro questo tipo di coltivazioni, anche se forse bisognerebbe ugualmente indignarsi davanti alle importazioni di soia per i nostri allevamenti suinicoli. Anche queste coltivazioni, infatti, avvengono spesso a discapito di delicati ecosistemi.

Articolo di Maria Luisa Doldi

A basso potenziale di conflitto - Ultima modifica: 2014-06-13T09:55:53+02:00 da Redazione

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