Voucher agricoli al minimo storico

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L’interpretazione delle cifre fornite da Inps non lascia margine al dubbio: l’impiego dei voucher in agricoltura è sceso al minimo storico, rappresentando appena l’1,09% del totale, a seguito della progressiva estensione degli ambiti e dei settori di utilizzo del lavoro accessorio, che è andata di pari passo con l’aumento della vendita dei voucher. Lo ha reso noto la Coldiretti sulla base dei dati dell’Osservatorio sul lavoro accessorio dell’Inps, relativi ai primi sei mesi del 2016. Una netta involuzione nell’utilizzo di questo strumento dunque, soprattutto considerando che i voucher sono stati introdotti in forma sperimentale in occasione della vendemmia nel 2008 e che nel corso di pochissime stagioni hanno completamente perso la propria connotazione originaria, inizialmente pensata proprio per l’agricoltura. Sono ora altri settori a fare massicciamente –e in alcuni casi abuso- di questo strumento: del totale di voucher venduti nel primo semestre dell’anno il 14,9% sono stati impiegati nel turismo, il 14% nel commercio, l’11,4% nei servizi, il 42% nel giardinaggio e pulizia, il 4,1% manifestazioni sportive e culturali mentre la maggioranza del 47,1% in altre attività.
È in questo quadro che si vanno peraltro a collocare le novità introdotte dal decreto correttivo del Jobs Act, pubblicato in Gazzetta il 7 ottobre, che per il settore agricolo prevedono da una parte un non irrilevante appesantimento burocratico (obbligo di comunicazione anticipata limitato ai soli 3 giorni successivi di prestazione), e dall’altra una limitazione economica (tetto di 2.020 euro per singolo committente).  Secondo Coldiretti, “In prospettiva si presentano, per il settore agricolo, profili di particolare criticità in quanto non solo l’agricoltura si trova a dover pagare pegno per colpe che non le appartengono, ma soprattutto per il fatto che si intravede il pesante rischio di un arretramento nell’utilizzo del voucher ascrivibile sia all’aumento della burocrazia (per 15 giorni di vendemmia dovranno essere effettuate almeno cinque comunicazioni anziché una), sia per l’ulteriore limitazione imposta dei 2.020 euro come per la generalità degli imprenditori, mentre gli altri settori non sono toccati dalle pesanti limitazioni previste solo per il settore agricolo ovvero l’utilizzo esclusivo di pensionati e studenti e per le sole attività stagionali“.

Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, parlando dei voucher, ha tenuto a precisare di non considerarli “il virus che semina il lavoro nero, perché non ne hanno il copyright, pur dovendo correggere gli abusi”. Nel merito, è intervenuta anche Coldiretti Toscana:  “Non siamo d’accordo con chi sostiene che il fenomeno del caporalato e del lavoro nero e precario sia stato alimentato dalla diffusione dei voucher per il pagamento dei lavoratori. Approviamo quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio – dice il presidente Tulio Marcelli– perché l’impiego dei voucher in agricoltura in Toscana, secondo gli ultimi dati Inps, è sceso ad appena l’2% del totale. Vogliamo sottolineare che i voucher introdotti in via sperimentale per la vendemmia nel 2008 ha perso radicalmente la sua connotazione agricola. Dei 7.900.000 voucher venduti in Toscana nel 2015 solo 168.000 sono andati al settore agricolo: sono quindi altri i settori dove è esploso il fenomeno voucher”.  “Servono pene severe e rigorosi controlli – sottolinea  il direttore Antonio De Concilio- che colpiscano il vero lavoro nero e lo sfruttamento, portando alla luce quelle sacche di sommerso che peraltro fanno concorrenza sleale alle imprese regolari che hanno intrapreso percorsi di legalità e trasparenza. È necessaria però anche una grande azione di responsabilizzazione di tutta filiera, dal campo alla tavola, per garantire che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali, ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una equa distribuzione del valore perché non è possibile che le arance nei campi vengano sottopagate a 7 centesimi al chilo, i pomodori poco di più e 5 chili di grano valgono come 1 caffè”.

di Emiliano Raccagni