Oltre il kWh verde

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Il settore delle agroenergie prima dell’estate ha visto vari decreti e decretelli metter mano ad accordi precedentemente stipulati e mandare a gambe all’aria business plan ben studiati. Ne abbiamo già parlato in questa intervista con Assorinnovabili. Oggi è invece ITABIA – Italian Biomass Association – che ci rilascia una riflessione sulla situazione attuale della produzione di energia per il settore agricolo. Parla il Vice Presidente Matteo Monni. Sembra che l’agricoltura che produce bioenergie non possa ancora dormire sonni tranquilli …

“Sfortunatamente chi opera nell’agricoltura, pur faticando molto, non ha mai potuto godere di sonni tranquilli. Le agroenergie costituiscono un’ottima opportunità per migliorare tale condizione, orientando molte imprese  verso la multifunzionalità aziendale, stimolando l’innovazione e generando redditi integrativi importanti vista anche la crisi del comparto. Tuttavia, nonostante le evidenti e positive ricadute sociali, economiche ed ambientali legate all’attivazione di filiere bioenergetiche, sussistono tutt’ora delle resistenze che ne limitano la crescita. Per esempio, il settore – ma non solo questo – soffre di una instabilità quasi patologica del quadro normativo nazionale di riferimento. Il sistema di incentivi per lo sviluppo delle FER elettriche, approvato con DM 6 luglio 2012, terminerà nel 2015 e non si sa cosa avverrà dopo. Stiamo parlando dunque di misure che, oltre a contenere alcune criticità, mancano di una visione lungimirante e inevitabilmente scoraggiano gli investimenti. Se a questo si aggiungono le lungaggini burocratiche per gli iter autorizzativi si capisce come tre anni siano un intervallo di tempo assolutamente inadeguato. Una seria politica energetica nazionale non può basarsi su decreti che per anni restano in attesa dei provvedimenti attuativi che poi non raggiungono nemmeno il quinquennio di vita.”

Poi c’è chi rema contro…

“Sono molto diffuse le opposizioni dei comitati dovute alla diffidenza verso qualsiasi realizzazione impiantistica spesso alimentate da scarsa informazione o addirittura da interessi contrastanti. In certi casi questi pregiudizi sono talmente radicati che si fa fatica a rimuoverli nonostante innumerevoli casi di studio monitorati ed evidenze scientifiche. Queste resistenze, superabili con adeguate campagne di informazione anche in ambito scolastico, fanno indubbiamente il gioco delle lobby che hanno tutta la convenienza al mantenimento dello status quo energetico. Questo è però ambientalmente, economicamente e socialmente insostenibile. Non dimentichiamo che viviamo in un paese che importa dall’Estero l’82% del suo fabbisogno di materia prima energetica; che solo nel 2012 ha speso quasi 58 miliardi di € per importare gas e petrolio. Viviamo in un paese la cui produzione nazionale di greggio copre il 4,5% del fabbisogno e quella di gas il 3,4%…”

In parte queste correnti di pensiero sono nate da un’avversione verso l’utilizzo di colture alimentari a scopo energetico e di terreni agricoli per la produzione energetica…

“E’ accaduto che certe esperienze non abbiano funzionato in maniera ottimale come nel caso delle realtà territoriali dove la concentrazione di impianti ha creato per l’approvvigionamento delle biomasse  degli squilibri con altre attività produttive locali. Ma come linea generale la paura di una sottrazione di terre all’agricoltura è in Italia assolutamente fuori luogo. Se ne parla poco, ma nel nostro Paese negli ultimi anni abbiamo perso 5 milioni di ettari della superficie agricola utilizzata per abbandono o cementificazione; mentre i terreni destinati a colture energetiche interessano appena 300.000 ettari. Si pensi, inoltre, al triste fenomeno della “terra dei fuochi” dovuto allo smaltimento illecito dei rifiuti in Campania, dove oggi grandi estensioni di terreni non più utilizzabili per produrre alimenti perché contaminati da sostanze nocive. In tali ambiti gli agricoltori potrebbero continuare ad operare impiantando colture energetiche con particolare capacità di fito-estrazione degli inquinanti.   Non sarebbe questo un modo intelligente per mantenere vitale l’economia agricola e garantire il presidio del territorio? Per non parlare della gestione dei boschi, le cui estensioni – oggi di circa 11 milioni di ettari – sono raddoppiate rispetto a quelle dell’immediato dopoguerra . Le foreste italiane, per millenni sfruttate dall’uomo devono, essere curate, altrimenti vanno incontro a fenomeni di degrado con i danni ambientali che conosciamo e i cui rimedi costano dieci volte quanto costerebbe una corretta gestione. In costi di tale gestione potrebbero essere bilanciati dal recupero e commercializzazione di biomassa idonea a produrre legno da opera e per energia”.

Infine ci sono le misure retroattive….

“Una cosa devastante questo vizio tutto italiano di ripensare, per far fronte alle emergenze, le “regole del gioco” senza farsi troppi scrupoli su quali effetti si possano produrre su chi ha pianificato degli investimenti. Il decreto Irpef, per esempio, va in contrasto con una strategia di sostegno alle FER in agricoltura, introducendo un sensibile incremento delle tasse per le aziende agricole che producono energia da fonti rinnovabili. Senza entrare nel merito del meccanismo mi limito a dire che fino ad oggi le agroenergie, costituendo “reddito agricolo”, venivano tassate tramite rivalutazione delle rendite catastali (poco), da ora in poi la cosa cambia e purtroppo in senso negativo per chi aveva investito in questo settore. Anche questo andamento schizofrenico della legislazione mina la serenità degli operatori di settore, dall’imprenditore agricolo fino alle aziende produttrici delle tecnologie specifiche della filiera”.

Cosa succederà agli impianti che si trovano con delle tasse che non avevano previsto?

“E’ chiaro che saltano tutti i business plan. Si dilatano i tempi di ritorno dell’investimento, ma c’è anche il rischio concreto che si perdano dei posti di lavoro laddove, ad esempio, siano state assunte persone per gestire degli impianti che oggi si trovano con decine di migliaia di Euro in più da pagare. A queste instabilità si aggiungono deficit strutturali della legislazione per cui troppo spesso essa non è univoca, lasciando spazio a libere interpretazioni, per cui l’operatore si trova consegnato ai criteri di giudizio dell’ufficiale di turno”.

Voi come vedete lo sviluppo delle agroenergie?

 “Lo vediamo come da sempre, indipendentemente da queste situazioni contingenti. Crediamo che si debba favorire sempre più lo sviluppo delle agroenergie per filiere strettamente legate al territorio, integrate alla agricoltura, alla zootecnia, alle foreste. Riteniamo che gli incentivi debbano essere svincolati dalla sola produzione del kWh verde, che non debbano favorire solo chi produce energia, ma che si debba cercare di ridistribuirli su l’intera filiera di valorizzazione energetica delle biomasse in cui la produzione di calore ed elettricità è solo l’ultimo degli anelli. Riteniamo che lo sviluppo delle agroenergie vada favorito laddove vi è una reale disponibilità di materia prima. Bisogna favorire dei modelli capaci di fornire delle soluzioni ai problemi economici ed ambientali facendo tesoro delle competenze maturate in ambito politico, scientifico e imprenditoriale nel nostro Paese. In tale ottica una buona notizia viene dalla recente approvazione da parte della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del Piano di Settore per le Bioenergie elaborato dal Ministero dell’Agricoltura alla cui elaborazione  ITABIA ha fornito un valido contributo. A noi interessa che le bioenergie si affermino su scala locale, attivando filiere sostenibili che generino posti di lavoro e stimolino una corretta gestione del territorio. Quello delle agroenergie è dunque un discorso molto più ampio del semplice kWh verde”.

Intervista a cura di Maria Luisa Doldi

Foto: Fonte ITABIA