L’utopia dei semi liberi

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Il sogno di un sociologo americano chiamato Jack Kloppenburg è diventato realtà: selezionare e mettere a disposizione degli agricoltori semi “liberi” da brevetto e quindi accessibili a tutti senza restrizioni. È una notizia curiosa, che ha destato interesse per l’azzeccato paragone con il mondo dei computer e dei programmi software. L’avvento, qualche anno fa, dei pacchetti “open source”, cioè scaricabili gratuitamente e continuamente migliorabili con il passaparola degli utenti, ha gettato il guanto di sfida ai quello dei diffusissimi e blindati programmi dei più noti colossi dell’informatica. Il paragone con l’agricoltura è sorto spontaneo, dato che anche in questo caso un piccolo “Davide” si prenderebbe la rivincita sui “Golia” giganti delle industrie sementiere multinazionali. Ci riuscirà? Difficilissimo, ma, soprattutto, presto per dirlo.

29 varietà per tutti. Per ora, non resta che prendere atto del tentativo concreto di Kloppemburg,  che, con l’aiuto di un pool di ricercatori e agronomi dell’università del Wisconsin, ha selezionato 29 varietà di 14 diversi tipi di coltura, tra cui broccoli, carote, cavoli e quinoa. Questi semi si contraddistinguono per non essere coperti da proprietà intellettuale. “In pratica si crea un sistema parallelo, un nuovo universo in cui i selezionatori e gli agricoltori possono condividere i semi ampliandone il patrimonio genetico senza restrizioni“, ha spiegato Kloppenburg. L’iniziativa, che ha attirato l’interesse della Fao, si ispira senza farne mistero al desiderio di tornare a ciò che era normalissimo fino a un secolo fa, quando tra i contadini era comune scambiarsi i semi e, così facendo, contribuire alla diffusione di nuove varietà e a un miglioramento che avveniva per una sorta di selezione naturale.

Ma questo lavoro non è solo il desiderio di un nostalgico ritorno al passato. Irwin Goldman, esperto di orticoltura all’Università del Wisconsin, che ha aiutato a organizzare la campagna, sostiene che “Se vent’anni fa altri selezionatori ci chiedevano il nostro materiale, mandavamo loro un pacchetto si semi e loro facevano lo stesso con noi. Purtroppo questo magnifico modo di lavorare non esiste più, perché  oggi i semi sono proprietà’ intellettuale, alcuni addirittura brevettati come invenzioni: serve il consenso del titolare del brevetto per usarli, oltre al fatto che usualmente la licenza è per un anno soltanto: i semi del raccolto non possono essere usati l’anno successivo. Queste regole sono adottate anche dai laboratori universitari: Quando creiamo nuove varietà di ortaggi, l’ufficio responsabile della proprietà’ intellettuale dell’ateneo si occupa di registrarne il trademark prima di venderli alle società che li commercializzano”. Un modo di procedere che a suo giudizio reca con se un danno grave e cioè la restrizione d’accesso al germoplasma dato che, limitando le condivisioni, si rischia di rendere sempre più difficile la capacità di migliorare i prodotti ortofrutticoli.

Nessuna licenza. Il progetto made in Usa prevede che qualsiasi pianta futura originata da una selezione dei 29 semi debba rimanere accessibile a tutti. L’idea, innescare ciò che secondo i creatori è un sistema di “protected commons”, in cui gli agricoltori che condividono possono accedere ai semi, con l’impegno di non esercitare su di essi nessuna proprietà intellettuale, diritto o qualsivoglia brevetto. Il contrario dell’attuale sistema, che, brevetto alla mano, consente al detentore della “licenza” di elargire l’esclusivo consenso all’utilizzo. Essendo inoltre la maggior parte dei semi commerciali degli ortaggi di tipo “ibrido”, ripiantando l’anno successivo un seme ibrido non si otterrà lo stesso risultato del precedente.  Secondo Kloppemburg, che da oltre trent’anni non fa mistero della sua posizione contro i brevetti sui semi, la battaglia è di principio. Il gruppo si è già organizzato per commercializzare sul mercato le proprie sementi, inventando una società di distribuzione no profit. L’obiettivo è che i primi acquirenti inneschino un circolo virtuoso, rimettendo in circolazione le proprie selezioni.

Articolo di Emiliano Raccagni