Ingredienti di “biomobilità” e indipendenza

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I biocombustibili sono liquidi o gas usati per il trasporto e prodotti da biomasse. Spesso si sente parlare di biocombustibili di prima, seconda e terza generazione e questo può forse creare un poco di confusione. A maggior ragione allora è apprezzabile il rapporto appena pubblicato da EurObserv’ER  – Biofuels Barometer – che, tra le altre cose, porta un po’ di ordine tra le varie definizioni. Le riportiamo qui in breve per i nostri lettori.

Si indicano come bioliquidi di prima generazione – anche detti convenzionali – quelli come il bioetanolo e il biodiesel, che derivano dalla trasformazione o conversione di colture energetiche. La categoria include anche la produzione di olio vegetale che può essere usato puro e direttamente da motori specificamente modificati. La derivazione da colture energetiche è dunque l’elemento determinante per definire un biocombustibile di prima generazione. I biocombustibili di seconda generazione, invece, non derivano direttamente da colture agricole e non entrano dunque mai in competizione con la produzione alimentare. Essi derivano invece da una trasformazione della cellulosa in bioetanolo, più raramente in biodiesel, e il materiale di partenza varia dalla paglia, ai residui del verde urbano o agricolo, alle colture legnose di crescita veloce come il miscantus. Infine si parla di carburanti di terza generazione riferendosi a quelli derivati dalle alghe. A parte l’ultima categoria, le altre due coinvolgono l’agricoltura. In Europa nel 2013 si sarebbero consumati l’equivalente di 13,6Mtoe di biocombustibili, di cui circa 2,7 di bioetanolo e più di 10 di biodiesel. Un buon 80% di questi biocombustibili è certificato e  risulta rispecchiare i criteri di sostenibilità definiti dalla Ue, ovvero essi garantiscono una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra lungo tutto il ciclo di vita del bioliquido (dalla coltivazione del seme alla produzione di energia) e  non sono stati ottenuti da materie prime provenienti da terreni che presentano un elevato valore in 
termini di biodiversità o un elevato stock di carbonio.

E il biometano? Il biometano è a tutti gli effetti un biocombustibile in quanto derivato dalla purificazione del biogas. Non rientra però nella prima generazione – e tanto meno nelle altre – perché non deriva solo da colture dedicate ma può derivare anche da reflui zootecnici e rifiuti urbani. Ciò non toglie che anche esso sia potenzialmente un biocombustibile molto prezioso, in grado di rendere più sostenibile la mobilità del futuro. Anche qui,  esistono le tecnologie per la sua produzione; in Italia vi è anche un ottima rete di distribuzione e una cospicua flotta di veicoli a gas, ma la mobilità sostenibile in Italia non si basa ancora sul biometano:  vi è un decreto interministeriale che autorizza e incentiva l’utilizzo del biometano per l’autotrazione, ma si aspettano ancora i decreti attuativi. Nel frattempo in Europa Germania, Svezia, Austria e Finlandia hanno prodotto  e utilizzato quantità interessanti di biometano: nel 2013 l’equivalente di 121.062 Toe.  Le potenzialità del biometano sono però maggiori di quel che si possa pensare. Un’analisi dell’Agenzia tedesca per le Materie Prime Rinnovabili FNR ha mostrato che in Germania nel 2013 sono stati prodotti 17,5 miliardi di m3 di biogas solo dai rifiuti urbani Da questi si possono produrre circa 9 miliardi di m3 di gas naturale bio, identico a quello fossile, il cui consumo in Germania ammonta a 86,4 miliardi di m3 di cui il 90% da importazione. Sempre secondo i calcoli dell’Agenzia entro il 2020 questa produzione di biometano potrebbe essere portata a 13 miliardi di m3  aumentando l’offerta di biocombustibile (e di biogas in generale) sul mercato tedesco e riducendo la quota di importazione di gas estero e quindi la dipendenza energetica… Non poco, se si pensa agli sviluppi recenti di certe relazioni internazionali!

Il rapporto citato è disponibile in francese e inglese al link

Articolo di Maria Luisa Doldi