Imprenditore agricolo, una definizione a norma di legge

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Piuttosto facile individuare i tratti caratteristici sostanziali dell’imprenditore agricolo, un po’ meno tracciarne i contorni dal punto di vista formale e giuridico. Nel corso degli anni le novità legislative hanno apportato alcune importanti modifiche che vale la pena approfondire in quanto la definizione normativa di “imprenditore agricolo” è spesso utilizzata da enti ed istituzioni per identificare i soggetti a cui è possibile applicare una determinata disciplina, concedere agevolazioni e finanziamenti, garantire esenzioni.

Quali sono le norme giuridiche di riferimento?

Il dato normativo da cui prendere le mosse è rappresentato dall’articolo 2135 del Codice Civile, nella nuova formulazione introdotta dall’art. 1 del Decreto Legislativo n. 228 del 18 maggio 2001: “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”, così recita il primo comma. Le prime tre attività non destano particolari problemi interpretativi dal punto di vista sostanziale ma il secondo comma dell’articolo precisa in maniera più puntuale, rispetto alla precedente versione della norma, il raggio d’azione delle citate attività: “Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”. Di particolare rilievo la circostanza che l’utilizzo del fondo diviene soltanto eventuale e non necessario. Di indubbio interesse è anche quanto illustra la Circolare n. 44/e dell’Agenzia delle Entrate del 14 maggio 2002 circa i riflessi sulla disciplina dell’Iva e delle imposte dirette a seguito della modifica dell’articolo 2135 c.c. . Tralasciando in questa sede i profili prettamente tributari, risulta proficuo valorizzare quanto evidenziato dal provvedimento, ossia il dato che la nuova formulazione della norma estende esplicitamente la disciplina dell’impresa agricola a quelle particolari attività, come l’apicoltura o l’allevamento di maiali per l’ingrasso e non per la riproduzione, che in passato erano state ricondotte alla fattispecie dell’impresa agricola soltanto in via interpretativa.

Cosa si intende per “attività connesse”?

Maggiori dubbi interpretativi possono sorgere, invece, in relazione alle cosiddette “attività connesse”. Anche in tale direzione la novità datata 2001 ha introdotto importanti modifiche. Il terzo comma dell’articolo oggetto della nostra analisi recita: “Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”. Ancora una volta la circolare dell’Agenzia delle Entrate fornisce interessanti chiarimenti; in particolare, si sottolinea tanto il requisito soggettivo, ossia l’imprenditore che svolge tali attività deve essere lo stesso soggetto imprenditore agricolo che esercita la coltivazione del fondo o del bosco ovvero l’allevamento di animali, quanto il requisito oggettivo, ovvero i prodotti oggetto di tali attività devono provenire “prevalentemente” dall’attività di coltivazione del fondo, del bosco o di allevamento esercitata dall’imprenditore agricolo. La nuova formulazione della norma non richiede più, quindi, che le attività connesse siano esercitate “nell’esercizio normale dell’agricoltura” così come previsto dalla disposizione abrogata, circostanza sostituita con il criterio della “prevalenza”, nell’esercizio dell’attività connessa, dei prodotti ottenuti dal proprio fondo, bosco o allevamento rispetto a quelli acquisiti dai terzi. Analogo criterio è stabilito per la qualificazione come attività connesse delle attività di fornitura a terzi di beni o servizi, le quali, oltre a soddisfare il requisito soggettivo stabilito per le imprese di trasformazione, devono utilizzare “prevalentemente” attrezzature o risorse dell’azienda “normalmente” impiegate nell’attività agricola principale. Per poter rientrare fra le attività connesse, l’attività di fornitura di beni o servizi da parte dell’imprenditore agricolo non deve aver assunto per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane la connotazione di attività principale.

A cura di Antonio Longo

2 Commenti

  1. siamo comproprietari di una piccola azienda agricola,e abbiamo ceduto i terreni a dei giovani imprenditori con regolare contratto in comodato d’uso a titolo gratuito per una durata almeno di 15 anni,visto la nostra condizione fisica a causa di sofferenze e anche di eta’ ,non ricaviamo reddito ne prima del contratto con i giovani imprenditori e ne dopo ,tutto un sacrificio per non fare perdere l’azienda e volere credere ancora di creare occupazione e di fare ripartire questa benedetta italia.Mi resta l’incubo imu chi la deve pagare,chiedevo se era possibile un chiarimento , grazie.

    • Buongiorno,
      per avere un chiarimento sicuro, in base anche alle situazioni che noi non possiamo conoscere, le consigliamo di rivolgersi ad un esperto della vs zona, come un CAF o un CAA.
      Cordialmente,
      la redazione

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