Agricoltura sociale come scelta di vita

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Foto pura vida

Una storia tutta da raccontare quella dell’azienda agricola Pura Vida, sita a Chiaravalle, in provincia di Ancona. Partendo proprio dal nome che deriva da un’espressione di saluto del Costa Rica, paese a forte vocazione ambientale, e che significa passione per la vita, condivisione e gioia. “Ed e’ proprio questo il messaggio che cerchiamo di passare ai nostri visitatori e acquirenti, – ci spiega Silvia Marchionni – non offriamo prati inglesi curati o architetture ricercate, tutto è fatto con materiali di riciclo e nel tentativo di sfruttare il meno possibile le risorse idroelettriche; l’ambiente è il meno contaminato e “preconfezionato” possibile in modo che chi ci visita possa vivere l’esperienza autentica della campagna, magari anche sporcandosi un po’”. Si tratta quindi di una piccola realtà familiare, nata dalla specifica esigenza di vivere una vita più sana ed essenziale. “Mio marito ed io, per volontariato, frequentiamo da anni i reparti pediatrici e, in particolare, quelli oncologici ed abbiamo assistito nel tempo ad un incremento esponenziale di patologie tumorali nei bambini, – sottolinea Silvia – essendo genitori ci siamo interrogati e documentati sulle possibili cause e, tra queste, il fatto che il fattore ambientale ed il cibo fossero tra gli elementi causa di “intossicazioni quotidiane” del nostro organismo, ci ha portato a volere avere il controllo, quantomeno di quello che arrivava nei nostri piatti”. E  così, nel 2012 i due coniugi scelgono di dare una svolta alle loro vite, un cambio drastico che significa abbandonare i rispettivi precedenti lavori e tuffarsi nel nuovo ambizioso ma stimolante progetto.

“Abbiamo quindi acquistato un terreno di 4 ha da bonificare in cui dare vita a colture biologiche con metodi naturali e dove sperimentare nuovi modelli sociali, – prosegue Silvia – la nostra azienda utilizza le conoscenze legate alla permacultura, alla biodinamica e all’agricoltura organica e rigenerativa e si e’ prefissa lo scopo di convertire un terreno precedentemente abbandonato in un suolo ricco e fertile. Attualmente sono stati impiantati: frutteto, uliveto, zona officinali, orto sinergico e piccoli frutti. Oltre a ciò, periodicamente, attraverso il progetto “Piantiamocela” facciamo adottare un albero ad una coppia nonno-bambino che, nel tempo, ne saranno custodi, per cui il terreno si sta ripopolando di radici che ne favoriranno la fertilità e ne preverranno l’erosione”.

Ma non e’ tutto. “Abbiamo avviato anche una piccola fattoria didattica, per lo più utilizzando animali che ci venivano segnalati dalle guardie zoofile o altri per abbandono, ed iniziato ad aprirci al mondo dell’infanzia in primis, con il centro estivo “Filo di Paglia” dove utilizziamo metodi della pedagogia naturale e libertaria  e ci poniamo l’obiettivo di scoprire insieme ai bambini nuovi modi di assicurare un futuro migliore al pianeta, – aggiunge Silvia – progettiamo e facciamo esperienze per la tutela ambientale attraverso il gioco e la creatività; i bambini vivono a pieno titolo la vita della fattoria come veri contadini. Poi abbiamo avviato un progetto denominato “Sogni in campo” insieme all’associazione di volontariato “Il sogno di Filippo” che sposa la clownterapia con la greentherapy portando, con specifiche giornate programmate, i bambini del reparto oncologico dell’ospedale pediatrico Salesi, assieme alle loro famiglie ed al personale del reparto, a vivere giornate indimenticabili in fattoria, valorizzando il contatto con gli animali, con la natura, ma anche momenti di gioco, benessere e condivisione dopo tanto tempo di “reclusione” tra le quattro mura dell’ospedale. Abbiamo inoltre dato vita a progetti con disabili ed anziani, questi ultimi sono parte integrante della fattoria, ne rappresentano la storia, ci aiutano a ricostruire il nostro passato agricolo e le tradizioni rurali cadute in disuso; diventano cantastorie, insegnanti di cucina, aiutanti con i bambini, allo stesso tempo si sottraggono alla noia e all’abbandono che, purtroppo, talvolta accompagna la terza età”. Insomma, agricoltura sociale allo stato puro.

Al cospetto di tali molteplici attività,  sembra quasi “scontato” l’utilizzo di energie alternative. “In azienda abbiamo un impianto fotovoltaico da 3 kw e altri punti fotovoltaici per mandare avanti piccole utenze, abbiamo anche un impianto solare termico e una caldaia a legna” evidenzia Silvia che non tralascia di menzionare le quotidiane difficolta’: “Avendo avviato da poco l’attività e non provenendo dal settore agricolo, ogni giorno siamo chiamati a crearci una cultura di base e delle idee indipendenti sui metodi di coltivazione e la strada da seguire. Le difficoltà più insidiose sono state, e sono tuttora, legate alla burocrazia, sempre troppo soffocante e mai chiara: ci muoviamo in un contesto pieno di norme e regolamenti, a volte si ha paura ad intraprendere qualsiasi nuova azione per timore di cadere in errore e dover pagare pesanti sanzioni. Le normative dovrebbero essere semplificate, ci dovrebbero essere meno referenti e in grado di orientarci su tutta la linea, le leggi sulla sicurezza dovrebbero essere modulate sulle specifiche realtà. Per alcuni aspetti la nuova legge sulla multifunzionalità apre molti spiragli per riportare l’agricoltura a misura d’uomo, per differenziare le attività e sperimentare l’agricoltura sociale. Ritengo molto positivo incrementare le filiere corte e la tutela ambientale, ma credo anche che in questo senso le istituzioni dovrebbero essere più coraggiose, incentivando ulteriormente l’agricoltura biologica e penalizzando chi ricorre a prodotti chimici e non preserva il territorio, perchè ogni agricoltore è custode della terra e deve onorare questo ruolo. Le aziende piccole vanno accompagnate e sostenute, così come i piccoli coltivatori diretti perchè la microproduzione fa fatica a sostenere i costi e la burocrazia richiesti a fronte di bassi guadagni”. Uno sguardo la futuro e’ d’obbligo: “Credo che nei prossimi anni ci sarà una scissione sempre più chiara tra l’agricoltura tradizionale e i sistemi innovativi che, in realtà, guardano al futuro riappropriandosi delle tradizioni del passato, ossia filiera corta, agricoltura con metodi naturali, autoproduzione, cicli chiusi delle produzioni, biodiversità, tessuto sociale, – conclude Silvia – credo anche che le fattorie che si ritengono parte di un più ampio movimento ecologico diventeranno sempre più interlocutrici delle istituzioni e che saranno fucine di idee e progetti messi in rete e condivise con altre realtà analoghe. Un importante fronte su cui operare sarà il fare “cultura della coltura”, far passare cioè il messaggio che la scelta di ciò di cui ci nutriamo è una scelta etica e condiziona il pianeta. Dobbiamo lavorare anche sull’opinione pubblica per arrivare a motivare una vera ri-evoluzione ambientale in cui l’Uomo prenda atto di essere ospite, e non padrone, di questa terra”.

Di Antonio Longo